VINCENZO VALENTE: PITTURA COME AVVENTURA DI VITA

Specchia 1846 – Napoli 1889

Vincenzo Valente era nato a Specchia, in provincia di Lecce, da un’agiata famiglia.
Ancora bambino manifestò la sua propensione per l’arte, tanto che venne mandato ad apprenderne i rudimenti da Giuseppe Buttazzo maestro di Diso: che si dedicava alla pittura di calvari e immagini sacre.

In seguito poté studiare all’Accademia di Belle Arti di Napoli, città che, pur avendo perduto il prestigio di capitale del Regno delle Due Sicilie, mantenne il ruolo di capoluogo e polo culturale del Mezzogiorno avendo un’importanza centrale nella formazione artistica del tempo, particolarmente per i giovani talenti del Sud Italia. Il Valente era uno di questi.
Nel periodo napoletano frequentò la scuola di Domenico Morelli e l’anticonvenzionale Scuola di Resina venendone fortemente influenzato: soprattutto per le nuove idee realiste che si andavano affermando.

Si rivelò artista libero e spontaneo, fresco ed istintivo nell’esecuzione, non condizionato da accademismi. Descriveva le cose com’erano, spesso riportandole con crudezza.
Il suo pensiero e la sua evoluzione artistica vennero ampiamente documentati da opere e scritti: fra i quali una lettera. L’occasione venne data dalla sollecitazione del compenso per un ritratto, fatto dopo morto al barone Basurto di Racale, che non era piaciuto ai familiari per l’eccessiva somiglianza con il defunto. Il Valente scrisse di rifiutarne il pagamento perché l’opera non era stata apprezzata: facendo così cogliere lo spirito che animava la sua personalità e nel contempo il suo chiaro pensiero artistico.

Colto e curioso venne affascinato dai paesi esotici: non si limitò a viaggi mentali d’abbandono al sogno ma scelse l’esperienza concreta, nonostante le difficoltà del tempo.
Si recò in Africa dove scrisse il suo diario pittorico, sintesi di tutta una vita, segnandolo con l’istintività dei colori, delle cromie e delle sfumature che i soggetti e i posti suggerivano, mediato con la sua sensibilità, la sua competenza e l’urgenza del dipingere il reale in quel preciso momento.

Colse i cambiamenti più impercettibili del suo tempo e delle cose, l’humus dei luoghi, l’io delle persone: l’essenza della vita.
Molti artisti poi chiamati “Orientalisti” e Delacroix, che ebbe da un breve viaggio in Marocco ed ad Algeri materiale e ispirazioni per il resto della vita, provarono interesse per le culture e i paesi esotici.

Vincenzo Valente andò in Egitto: fatto questo di straordinaria importanza per la sua vita. Dopo aver soggiornato per un breve periodo ad Alessandria si trasferì ad Il Cairo dove, ben presto, fu apprezzato per le sue qualità artistiche ed umane, tanto da diventare pittore alla corte d’Ismail Pascià: sovrano aperto alla modernizzazione e alla cultura.
Da quella terra, che l’aveva incantato, ebbe notevoli influenze, vi colse l’eleganza e il misterioso spirito orientale, un mondo nuovo: climi, luci, colori stimolanti e coinvolgenti. Vi trovò l’afflato, le tensioni del divenire dell’uomo e delle cose che lui espresse, nelle sue opere, in modo talmente efficace da suggerire, allo spettatore, un dialogo continuo fra artista, luoghi, sensazioni e scoperte. Tutto questo lo fissò con la mentalità e la poesia di un occidentale, italiano del Sud Italia, abituato alle abbacinanti luci dell’assolato Salento, supportato dalle sue teorie pittoriche e dalle sue conoscenze.

Ad Il Cairo aprì il suo atelier e decorò il palazzo del Khedivè. In quel periodo conobbe Josephine Garnier, giovane francese di Marsiglia, che faceva parte della “Société Française de Bienfaisance et de Secours Mutuels du Caire”, s’innamorò: dalla loro unione nacque il figlio Giuseppe. Il bambino fu portato in Italia, a Specchia, sin dalla più tenera età e affidato ai nonni paterni che ne curarono l’educazione.

In breve tempo l’amore fra i due finì e Josephine tornò in Francia dove iniziò una nuova vita, mentre Vincenzo rimase in Egitto e continuò a lavorare sia a corte che nel suo studio. L’intensa attività di quel periodo è raccontata da un gran numero d’opere pervenute ai suoi discendenti.
Vincenzo Valente non dimenticò mai la sua terra d’origine. Il suo legame, profondo e malinconico, si ritrova nelle opere e nello stretto rapporto epistolare che mantenne con la famiglia.

Nelle lettere dava, anche, uno spaccato della situazione politico – sociale, non semplice, che attraversava l’Egitto e della sua attività che, nonostante gli eventi negativi, procedeva senza problemi.
L’inaugurazione, nel 1869, del Canale di Suez e la commissione a Verdi dell’opera Aida incrociò l’estro artistico di Vincenzo Valente che fece dei quadri che documentavano gli eventi e alcuni il passaggio delle navi. Appassionato di musica classica spesso seguiva le tournee delle compagnie e a questo proposito produsse una serie di caricature con il titolo “Gli animali cantanti”. Vi erano raffigurati gli artisti che apparivano nei palcoscenici: musicisti, dive e divi del bel canto. Queste furono esposte, e molte vendute all’artista che vi era ritratto o a suoi ammiratori, in occasione della prima dell’Aida che andò in scena ad Il Cairo il 24 dicembre del 1871.

Sfogliare il catalogo delle caricature è un modo per cogliere la sottile ironia che il Valente mise nel disegno, rapido ed efficace capace di cogliere la singolarità di ciascuno.
Alcune delle sue caricature vennero in seguito pubblicate nella rivista dell’opera”La Scala” n° 81, nell’agosto del 1956.
Vincenzo Valente rimase in Egitto sino al 1889, anno in cui contrasse una grave malattia epatica e dovette far ritorno in Italia lasciando nel suo atelier ad Il Cairo la sua produzione. Durante il viaggio, avvertendo il peggioramento del suo stato di salute e trovandosi a Brindisi, prese la decisione di proseguire per Napoli dove intendeva curarsi. Scrisse alla famiglia chiedendo d’aver cura di suo figlio e d’andare al Cairo a recuperare le sue opere.

I suoi familiari, con elevatissime spese, diedero corso ai suoi desideri, le opere vennero recuperate e conservate gelosamente, come pure le sue lettere. Non fece mai ritorno al suo paese natale in quanto, a causa della sua malattia, quello stesso anno, morì a Napoli.
Per molto tempo dei suoi dipinti hanno potuto goderne solo i suoi diretti discendenti. Oggi che si avverte un rinnovato interesse per tutta l’arte dell’ottocento, che non ha avuto per molto tempo l’attenzione della critica, si comincia a prendere in considerazione quest’artista che ha saputo fare della pittura un’avventura di vita: un importante segno che Vincenzo Valente ci ha lasciato. Studiarlo è un modo per comprendere meglio le vicissitudini e i fermenti che hanno attraversato quel secolo, che hanno portato ad un radicale cambiamento nella vita e nell’arte.

Fonte Notizia: Federica Murgia

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