LA STORIA DI SPECCHIA

“Da qui Messere si domina la valle”.
Da una “specchia”, la nascita dell’incantevole borgo salentino.

“La storia di Specchia è un libro con molte pagine bianche e con molti segni, spesso indecifrabili e contraddittori. Vi sono tanti brandelli di storia, come frammenti di un grande vaso che bisogna ricomporre con pazienza e prudenza”: così scrive lo storico Antonio Penna, nel suo libro su Specchia (Schena editore, 1995).

Effettivamente, ancora non è stata fatta luce sulle origini di questo incantevole borgo dell’entroterra salentino e molte sono le ipotesi che hanno avanzato gli studiosi. Probabilmente, la fondazione del paese risale al IX secolo, quando alcuni coloni si accamparono in questo lembo di terra, per sfuggire alle incursioni piratesche che infestavano le coste salentine. Il toponimo deriva sicuramente dalle specchie, cioè quei cumuli di pietra che servivano come opere di difesa o come postazioni di vedetta, dal latino speculor, che significa “osservare intorno”. Secondo G. Marciano, tale era la finalità di questa specchia, una altura che, pur essendo di appena 130 metri, era comunque rilevante, su un territorio circostante completamente piatto, per avere il controllo visivo di tutto lo spazio intorno.

Il nome completo del casale era “Specchia Preti” e, sempre secondo il Marciano, l’appellativo Preti era una corruzione di Petri, ad indicare appunto gli enormi cumuli di pietrame che erano caratteristici di Specchia e che potevano derivare da operazioni di sbancamento del terreno sassoso, oppure erano servite come postazioni di vedetta, o ancora come sepolcri di antichi eroi morti in battaglia. Ma Aldo Simone escludeva che questi ammassi di pietre fossero serviti come monumenti sepolcrali di uomini illustri e, a conferma di ciò, citava le ricerche sul campo svolte da Cosimo De Giorgi il quale aveva dimostrato che, sotto queste specchie, non c’era niente, probabilmente perché esse risalivano ad un tempo anteriore, già durante l’età neolitica o nelle primissime età del bronzo.

Secondo il De Giorgi, quindi, nella sua opera “Specchia in Terra d’Otranto” del 1905, il termine Petri derivava dal latino petrae, così come per il Marti ed altri studiosi. Secondo Mons.G.Ruotolo, invece, nella sua opera “Ugento-Leuca-Alessano”, del 1952, il termine Preti si riferisce non già alle pietre ma proprio ai preti, nel senso di prelati, considerando che tutti i documenti ufficiali a proposito di Specchia, fino al 1700, riportano il nome completo di “Specla Presbiterorum”: il paese, cioè, un tempo era appartenuto in prevalenza a sacerdoti regolari e secolari, e con questa tesi concorda Antonio Penna.

Il termine Preti venne eliminato dopo l’Unità d’Italia, grazie ad un regio decreto con il quale, nel 1873, Vittorio Emanuele II accoglieva la richiesta del consiglio comunale di adottare per il paese solamente il nome di Specchia. Lo stemma civico di Specchia rappresenta un mandorlo che cresce su un cumulo di pietre. Questa rappresentazione rimanda agli alberi di mandorlo, una coltivazione tipica della campagna specchiese e che in passato costituì una discreta fonte di rendita per il paese, tanto che il nome completo del casale era “Specchia Mendolia”, per distinguerlo da Specchia Gallone, frazione di Minervino.

Secondo il Tasselli e l’Arditi, la simbologia contenuta nell’arma civica, rimanda a Lucrezia Amendolara, mitica matrona romana che, secondo la leggenda, fu la fondatrice di Specchia. Anche se non esistono documenti ufficiali che possono confermare l’esistenza di questo personaggio, a Specchia sono stati comunque trovati dei resti di una abitazione romana ed inoltre nel paese visse, nel XIV secolo, la famiglia Amendolara, il cui capostipite, Giovanni, fu feudatario del luogo. Il nome del paese in uso nella vulgata, infatti, Specchia Mendolia, richiamava il casato della fondatrice, Lucrezia Amendolara, alla quale è intitolata la strada principale del paese e anche gli specchiesi assunsero il soprannome collettivo di “mendulari”.

A noi sembra chiaro che si tratti di una leggenda: in effetti, in latino amandula significa “mandorla”, ed allora la fantasia popolare, incoraggiata da storici compiacenti, volle forse legare il nome di una leggendaria fondatrice, Amendolara, alla caratteristica principale del luogo. Nel Medioevo, Specchia era anche chiamata “Specla de Amygdalis”, con riferimento agli enormi cumuli di pietre su cui crescevano dei mandorli, simbolo del paese fin dal più antico stemma civico conosciuto. Proprio per la presenza di queste pietre, quando vennero costruite le strade, per le difficoltà create dal terreno sassoso, venne utilizzata la tecnica dei terrazzamenti, per evitare ripidi dislivelli sulla superficie stradale. Tutto il centro storico del paese venne ricoperto dalle caratteristiche chianche, che ancora oggi lo impreziosiscono; queste chianche però, alla lunga, vennero rese scivolose dall’usura e da qui, il termine “scurlisci” (da scurliscere, cioè “scivolare”), altro soprannome collettivo che venne affibbiato agli specchiesi. .

Delle mura di cinta che un tempo incorniciavano Specchia, oggi non è rimasto più niente ma queste dovevano essere davvero imponenti e davano al paese un aspetto di fortezza. Con la dominazione dei Normanni, iniziano le notizie certe sul paese, che dal Re Tancredi venne incorporato nella contea di Lecce e da allora venne sottoposto alla dominazione di numerose famiglie, come i Monteroni, gli Orsini, i Guarini, gli Artus, i Protonibilissimo, i De Capua, gli Astore, i Ripa, i Risolo, e via dicendo, fino al 1806, data di soppressione della feudalità.

Protettore di Specchia è San Nicola di Myra, che viene festeggiato a maggio. Fra i personaggi illustri a cui Specchia ha dato i natali, si possono citare: Ercole Balsamo, gesuita del Cinquecento, che insegnò a Tours filosofia morale e scolastica; uomo dottissimo ed ammirato da tutti, scrisse molte opere di carattere religioso in francese; fu prefetto del Collegio di Tolosa e poi del Collegio di Limoges, città nella quale morì nel 1618; Ignazio Balsamo (1543-1614), gesuita, che insegnò lettere a Tours, Avignone e Tolosa; tra le sue opere, “Instructio de perjectione” e “Instructio de vera recta orandi ac meditandi methodo”; Bernardino Colella, vissuto fra il Cinquecento e il Seicento, filosofo e medico, che operò a Padova, autore, fra l’altro, del “De Mundi creatione iuxta Aristotilis”; Bonaventura Risolo, che visse nell’Ottocento, Cavaliere del Regio Ordine di Francesco I Re di Napoli, poi consigliere d’intendenza a Lecce; uomo dottissimo, fu anche sottintendente a Gerace; l’arciprete Giovanni Antonio Santoro, benemerito, al quale si deve l’istituzione delle Figlie della Carità, l’ospedale e molte altre opere umanitarie; morì nel 1874.

Specchia è giunta all’attenzione dei media, grazie alle sue bellezze paesaggistiche ed architettoniche e il suo incantevole centro storico è stato catalogato fra i “Cento borghi più belli d’Italia”. Bisogna riconoscere che la bellezza di questo paesino del Capo di Leuca sarebbe rimasta esclusivo patrimonio degli abitanti del luogo se non fosse stata degnamente valorizzata da una classe dirigente accorta e sensibile che negli ultimi anni si è impegnata moltissimo nella promozione del territorio. Onore al merito soprattutto del vulcanico sindaco Antonio Lia il quale, politico di lungo corso e abile amministratore, grazie alla lunga esperienza maturata anche come parlamentare della repubblica italiana, instancabile promoter culturale, ha saputo vendere molto bene il “prodotto” Specchia, con una efficace e mirata campagna di marketing. Con la stagione estiva ormai alle porte, Specchia sarà ancora una volta meta di tanti turisti nazionali ed internazionali che potranno godere del fascino antico del “paese dei mandorli”

Fonte Notizia: Paolo Vincenti


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